martedì 20 novembre 2012

Il Gruppo di Lettura BC su Nati due volte di Pontiggia

Come di consueto, ecco la sintesi  - a cura questa volta di Maria Grazia Garavaglia -  delle riflessioni del Gruppo di Lettura BC sul libro Nati due volte  di Giuseppe Pontiggia, che è stato oggetto dell'incontro tenutosi in biblioteca lo scorso 10 novembre.

Tutti i presenti si sono sentiti particolarmente coinvolti leggendo la storia di Paolo: un bambino colpito da tetraparesi spastica fin dalla nascita a causa di un lungo e difficile travaglio.
Più che un romanzo si potrebbe definire una storia vera, infatti è il racconto di vita di diversi personaggi.


E’ un libro sul dolore, sulla realtà quotidiana, sulle difficoltà, le frustrazioni, le speranze, ……l’amore.

Sembra che il protagonista sia il padre e non il figlio, ma è un padre che ha molti dubbi, sensi di colpa, incertezze, che inserisce un discorso di critica nei confronti di medici, scuola, istituzioni in genere: ad esempio, nei confronti dei personaggi che agiscono nell’ambito scolastico, frequentato da Paolo,  soprattutto verso il direttore della scuola primaria: “zoppo, duro, aspro, asciutto, ostile”. Approfitta del suo ruolo per chiedere servigi a proprio tornaconto a chi si trova in una situazione di fragilità. Fa valere la sua posizione di autorità anche nei confronti delle donne che dipendono da lui, applicando un ricatto miserevole. L’autore lo chiama “ladro di anime, oltre che di corpi”.

Nel testo il ruolo della madre sembra marginale ma c’è sempre. Ciò che appare è il percorso che compie il padre: la fatica ad accettare la paternità, ammettere la sua impreparazione, le sue colpe, poi subisce una metamorfosi e comincia ad appassionarsi al problema: “si innamora” del figlio a quindici anni.

Il testo è diviso in capitoli brevi, forse è un escamotage per fermarsi a riflettere su ogni argomento trattato.
Il lessico è preciso, semplice, l’autore usa termini comprensibili a tutti.

Si è evidenziato come nel corso degli anni ci sia stata nei confronti dei portatori di handicap una maggiore accoglienza nella scuola, una più corretta preparazione da parte degli insegnanti per meglio comprendere i loro bisogni e quindi agire nei modi appropriati.

Anche il linguaggio, usato dalla cosiddetta società civile, è mutato. Si è passati da termini forti come “mongoloide, cerebroleso, ecc.” a “disabile, diversamente abile”. Perché ? Per una sorta di buonismo, di compassione o c’è un po’ d’ipocrisia ?

Molti sono stati i commenti da parte dei presenti:
- “Temevo una maggiore drammaticità, invece c’è molta ironia, le risposte del ragazzino sono acute e geniali. L’ho letto con una certa tranquillità nonostante l’argomento”
- “A me è piaciuto molto, addirittura riletto, non è mai patetico”
- “I ragazzi disabili sono piu’ intelligenti e sensibili. L’handicap ci aiuta a capire noi stessi”
- “Pontiggia ha fatto un percorso trentennale per scrivere questo libro: la leggerezza con cui descrive è il risultato finale.”
- “Bellissimo il capitolo del pilota del jet.  Il bambino è più importante!”
- “E’ un romanzo non drammatico, ma il dolore è sempre presente”.
- “In questo libro esce il tema dei vari volti  dell’amore”.

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